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"La carne cuoce all'aria aperta" è una storia che trascorre all'inizio della decade degli anni '90 e ciò attribuisce un ipotetico passato e un'età ai tre amici che, durante un fine settimana lungo d'inverno, si ritrovano per ripetere nella stessa imbarcazione e sullo stesso fiume, quell'escursione di pesca della loro prima gioventù. Gli avvenimenti, che sembravano rispondere semplicemente ad un disordine melanconico, sono spietati. Taborda fa una scalata senza che i suoi lettori percepiscano dove vada il racconto. Ma quando succede quello che succede, ci si rende conto che tutto era lì e stava fluttuando sulle acque del fiume. I tre amici non hanno nome: il primo è semplicemente uno, con un'intrigante terza persona universale ("uno" è l'uno che sono tutti) che è colui che racconta quello che succede a lui e agli altri. Poi il Pelato e il Terzo. Ma questa non è l'unica originalità del testo. Lo sono anche le frasi complesse ed estese, lontane dalla semplicità colloquiale. Taborda scrive con una scarsa punteggiatura interna, perché ha fiducia nel ritmo stesso della sintassi. Il vocabolario combina allo stesso tempo echi poetici ed eruditi. Il paesaggio fluviale si definisce con precisione. Ed è proprio in questo paesaggio, quando i tre uomini pensano che si stia ripetendo un'escursione del passato, che si spezza il prevedibile.