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Studioso di una pluralità di discipline nella seconda metà dell'Ottocento, Sergi, tra i massimi antropologi positivisti tra Otto e Novecento e fondatore del movimento eugenetico italiano, le pose al servizio di una rifondazione razionale della società la cui integrità psico-fisica doveva essere salvaguardata attraverso un progetto di perfezionamento razziale e l'espunzione di ogni dimensione metafisica, segnatamente religiosa, che la società minacciava non meno della degenerazione biologica della razza. Se la drasticità delle misure prospettate da Sergi nei confronti dei 'tarati' irrecuperabili non fu accolta da quella latina nostrana, l'enfatizzazione sergiana della validità della profilassi fisica e morale, della medicina sociale preventiva, dell'assistenza materno-infantile e dell'educazione per i sani e per i deviati recuperabili sarebbe stata condivisa dalla nostra classe politica e medica, incline perlopiù ad accogliere il modello 'ambientalista-lamarckiano' piuttosto che quello 'determinista-mendeliano'. Il 'socio-ambientalismo' sergiano, così, avrebbe improntato nel nostro Paese il discorso sul perfezionamento razziale perlomeno fino agli anni Trenta del Novecento.