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Il mondo dello sport, come tanti altri campi dell'attività umana, ha contrassegnato il 1999 come l'anno nel quale riflettere sul secolo che stava volgendo al termine. Sono stati compilati elenchi e fatti sondaggi dai quali è emerso che personaggi del calibro di Nicklaus, Jordan e Pelé, tutti re nelle proprie discipline, in questa occasione dovevano accontentarsi di un ruolo da cortigiani. Muhammad Ali è risultato in cima alla lista non solo per aver dominato il suo sport, ma per averlo superato. Il suo allungo è andato ben oltre la mandibola del suo avversario, molto al di là della fratellanza che caratterizza il mondo del pugilato; il suo nome e il suo volto hanno raggiunto la notorietà negli angoli più remoti del pianeta. Da giovane pretendente alla corona, era lo spavaldo e indisponente "labbro di Louisville", che ostentava la sua grandezza e pronosticava il crollo del suo avversario declamando versi esibizionistici. Molti dubitavano del suo valore, lo davano per spacciato di fronte al temibile Sonny Liston. Cambiarono idea quando, messo al tappeto Liston per ben due volte, liquidò una sequela di sfide con il suo magnifico stile fatto di movimenti eleganti e colpi pungenti. Nel 1967, molto tempo dopo essere entrato nella Nation of Islam e aver abbandonato il suo "nome da schiavo" Cassius Marcellus Clay, Ali ingaggiò una battaglia diversa al di fuori del ring. Il suo rifiuto ad arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti lo privò del titolo e gli fece rischiare la prigione...