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In Mozambico un branco di leoni attacca a più riprese un villaggio, causando oltre venti vittime. Per eliminare le belve assassine il governo invia una squadra di cacciatori, che si trova a fronteggiare non solo gli animali ma anche gli uomini e le loro convinzioni. Tra la popolazione si è diffusa la credenza che i leoni siano inviati del mondo dei morti o evocati da astuti stregoni per compiere vendette e seminare il terrore. Mia Couto prende spunto da una storia vera, per quanto inconsueta, e a questa premessa sovrappone il proprio sguardo. Nella sua storia il racconto diventa una testimonianza in prima persona, affidata in capitoli alternati all'esperto cacciatore e all'unica superstite di una famiglia a cui i leoni hanno già ucciso tre figlie, e si svolge in un'archetipa comunità segnata dalle cicatrici della guerra civile che ha sconvolto il paese fino agli anni '90. Sono molte le tensioni nascoste nel villaggio che vengono a galla nell'attesa dello scontro finale con i leoni. Forse la guerra reale che si sta combattendo non è tra le fiere e gli uomini ma tra il potere patriarcale e la debolezza delle donne, spesso condannate a una non-vita. E il romanzo si presta a diverse chiavi di lettura, riflette sulla naturale aggressività del genere umano, ben peggiore di quella delle bestie, e si concentra sulla magia tutta letteraria di una scrittura poetica e visionaria, capace di far scaturire dagli eventi e dalle persone una realtà più devastante di un fucile carico di pallottole.