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"Il mio maestro è Oscar Wilde che con il paradosso 'è la vita che imita l'arte' ha realizzato la rivoluzione copernicana dell'estetica" dichiara Alain Roger in premessa al suo "Breve trattato sul paesaggio". Con questa adesione, l'autore intende sottolineare ciò che per lui è paesaggio: un'invenzione culturale, che non può mai ridursi alla sola dimensione fisica ma, per diventare ciò che risulta essere nella vita e nello sguardo degli uomini, ha sempre bisogno di una metamorfosi, mediata essenzialmente dalla realtà dell'arte. L'autore affronta le principali questioni connesse oggi alla nozione problematica di paesaggio: il costituirsi storico, in alcuni luoghi e momenti privilegiati, della sensibilità paesaggistica occidentale (la campagna, la montagna, il mare); la funzione millenaria dei giardini; i rapporti tra paesaggio e ambiente; la pretesa "morte del paesaggio"; i presupposti teorici necessari alle politiche di salvaguardia. Un'opera impegnata - forse il primo trattato completo sull'argomento -; antidogmatica per l'assunto stesso, secondo cui il paesaggio è opera umana e artistica (non naturale né divina); concisa; di scrittura elegante.