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Nelle lettere che Gioacchino Volpe, uno dei massimi storici italiani del Novecento, scrisse tra il 1944 e il 1945 alla moglie e al figlio maggiore ritorna di continuo la percezione di una finis Italiae come conseguenza della sconfitta nella seconda guerra mondiale, e con essa la sensazione di un disorientamento personale fortissimo, come di chi non riesca più a riconoscersi nel proprio Paese. Per vent'anni Volpe non aveva fatto mancare il suo consenso al regime fascista, del quale era stato anzi uno degli intellettuali di maggior spicco. Ma dopo l'8 settembre 1943 non aderì alla Repubblica sociale e neppure riuscì a identificarsi, benché avesse sentimenti monarchici, con il Regno del Sud.