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Questo testo vuole occuparsi di un elemento della composizione architettonica non molto frequentemente rilevato ma interessante sia per la sua ricorrenza come invariante strutturale della sintassi progettuale, sia per la sua mutevole declinazione in specifiche epoche e architetture. L'interesse per questo topos architettonico non è solo riconducibile ad una corretta restituzione filologica del termine stesso, ma è dettato dalla volontà di definire un importante tassello utile alla pratica compositiva, che assume una valenza più ampia se correlata ad un processo progettuale architettonico e urbano contemporaneo. Questo testo, infatti, può essere letto come una sorta di premessa volta a chiarire alcune caratteristiche di questo termine, che può così essere utilizzato sia come chiave di lettura di figure ricorrenti nei tessuti della città contemporanea sia come strumento teorico e pratico utile alla composizione architettonica e urbana. Infatti, nonostante le evoluzioni semantiche e formali che l'invariante del poché ha avuto nel tempo, il termine può essere riconducibile sia al concetto di residuo, avanzo, quindi immediatamente collegabile a termini quali wasteful place e junkspace, spazi ambigui e informali, prodotti dai meccanismi di urbanizzazione contemporanea, sia più genericamente al concetto di spazio interstiziale, che può diventare, grazie alle proprietà di connettività, un ambivalente strumento compositivo del paesaggio contemporaneo.