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Diciamo urbanistica, e sappiamo che questa disciplina, come credevamo dovesse procedere lungo la difficile strada tracciata dalla cultura di sinistra, non esiste più. Anzi, peggio, ne esiste un'altra che sotto lo stesso nome non riesce a nascondere l'azione incessante dei potenti immobiliaristi padroni del mercato fondiario e finanziario. Diciamo architettura, e sappiamo che non appartiene più al progettista incline a inquadrarne il senso nel contesto sociale e territoriale studiato e capito. Vince l'architettura internazionalista vuota di sentimento, estranea alla storia della città-società, disinteressata a qualsiasi relazione di buon vicinato per rappresentare solo sé medesima. Architettura anch'essa governata dal mercato e perciò succube della rendita, vale a dire della quantità insensata e dell'indice di sfruttamento fondiario abnorme. Per questo incapace di soluzioni amabili, leggere, umane. Ci resta solo la critica e la negazione? Forse sì, insieme alla volontà di catalogare i lacerti di giustezza e bellezza per indicarli ai giovani come punti di partenza per "tornare indietro". Intanto l'azione urbanistica e architettonica immediata non potrebbe che consistere nel demolire demolire demolire.