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Emilio e Amalia Brentani, Angiolina Zarri, Stefano Balli: sono i quattro protagonisti di Senilità di Italo Svevo. In tutto l'arco del romanzo, essi tacciono, non si dicono, i loro dialoghi restano proposizioni mute e infrangibili. Non c'è ekstasis, uscita da sé. Ognuno volge verso i propri fini e solo in rari momenti - durante la malattia di Amalia, ad esempio - il pathos conduce al mathos, vi è sympatheia, il patire coincide con il comprendersi. Per il resto, sono ineffabili: non effabiles, impossibili a dirsi, impossibili a dire di sé. Se c'è quindi un aspetto immediatamente rilevante in questo postremo prodotto dell'Ottocento, è non soltanto la presenza dell'inetto (sarebbe più corretto far riferimento allo Schlemihl di origine ebraica), ma l'ipotesi di una polifonia mancata, di un concerto di voci straziato da stridii che non si accordano. Di una comunicazione interrotta. Vi è un momento centrale dell'opera in cui Emilio ama Angiolina che è attratta dal Balli che, a sua volta, è amato da Amalia: nella catena di sentimenti non corrisposti nemmeno per un istante è possibile la reciprocità. Ciò che ognuno comunica all'altro è perciò dall'altro deriso e incompreso. Senilità, in tal senso, potrebbe essere il romanzo dell'incomunicabilità, dell'isolamento, della pena di volontà. E di conseguenza, in via negationis, lungo una linea carsica che apparenta i personaggi sveviani alla Violaine di Claudel e alla Sylvie di Nerval: il romanzo della lotta e della malattia, del desiderio di comunione, del mistero dell'alterità, dell'infinita portata del desiderio dell'altro.