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"Il primo dovere del critico, come di tutti gli scrittori, è quello di essere apertamente se stesso. S'intende che, come ogni altro interprete, egli non deve pretendere di sovrapporre volontariamente, vanitosamente, il suo io, la sua personalità, all'artista interpretato. Fin quando la favola continui a fluire dalla ribalta, sui volti attoniti della platea, il critico non ha da pensare a sé. Solo più tardi, quando siederà al suo tavolo, e alla luce della lampada imprenderà a scaricare sul foglio bianco le sensazioni accumulate in sé durante lo spettacolo, tutt'a un tratto questo si distaccherà da lui, si mostrerà al suo spirito in una luce nuova ..." (Silvio d'Amico)