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Dopo "L'ospite più strano" e "Sentieri della legna", Giovanni Antonioli prosegue qui il suo dialogo con se stesso e con il lettore. Intimo ed essenziale, asciutto e dimesso e al tempo stesso ricco di folgoranti intuizioni che è dato cogliere dietro il velo di una prosa del tutto disadorna, questo dialogo assume ora una connotazione nuova. Quel Dio che era il partner spesso sottaciuto ma sempre sottinteso nei flash meditativi dei primi due libri, diviene ora l'interlocutore diretto di quel dialogo: ora seduto mitemente, in silenzio, accanto all'autore, ora terribilmente lontano nella sua infinita superiorità, Dio è l'«inafferrabile» e insieme il punto di riferimento costante, il «tu» con cui Antonioli fiduciosamente si intrattiene. Deposta ogni sovrastruttura di pensiero e affrontando lucidamente, nella propria nudità, il pericolo e l'angoscia della desolazione spirituale, l'uomo anziano e malato si interroga sul suo essere cristiano, sul suo essere sacerdote, sui princìpi della fede continuamente e dolorosamente riconquistati e soprattutto sulla morte, pensiero costante che conclude l'opera riempiendo di sé le ultime, e più impegnative, meditazioni.