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"Dal monologo interiore, che è tale sempre da preferire il calore e da non volere laccioli, 'La tribù dell'eclisse' ottiene il dono della varianza. Ora il verso è ipermetro e s'assimila alla prosa, ora il verso s'accorcia e le sue misure rientrano nella norma prosodica; ora la cadenza è sciolta, discosta dalle figure della ripetizione, ora nessi rimici e assonanze di ritorno ripristinano le logiche della simmetria e del parallelismo. Non diversamente, in una silva, alberi e arbusti ora s'approssimano e si intrecciano fitti, ora le forme vegetali si distendono prendendo aria; ora l'intrico si mostra difficilmente sbrogliabile, ora il sottobosco si dirada e s'appiana. E, come nelle silvae, così nella Tribù dell'eclisse le ombre, quando rabbuiate intensamente quando virate verso il grigio, e le luci, filtrate dai rami e pervenute da schiuse del cielo per perimetrare porzioni di suolo e di pagina, si conducono liberamente in alternanza." (dalla prefazione di Marcello Carlino)