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Nessun poeta, dopo Puskin, ha avuto una influenza sulla poesia russa del Novecento paragonabile a quella di Aleksandr Aleksandrovic Blok, nato a Pietroburgo nel 1880 e dunque appartenente alla generazione di pochi anni precedente a quella dei Majakovskij, Esenin, Pasternak. Talento vivissimo, pubblicò a ventiquattro anni una delle sue opere fondamentali, quei "Versi della Bellissima Dama" che lo rivelarono immediatamente come il caposcuola della poesia simbolista, ed ebbero grandissima influenza su Andrej Belyi, l'altro grande simbolista russo che a Blok dedicò un fondamentale libro di "Ricordi". Ma la poesia di Blok raggiunse il culmine della sua intensità lirica nelle opere di poco successive, quando, come scrive Bruno Carnevali nella prefazione al volume, "la bellissima Dama, l'ipostasi femminile della divinità, che nel metafisico e immobile disegno simbolista doveva essere la metafora dell'ineffabile incontro con la realtà più reale, d'improvviso si vanifica, si rifiuta all'amante, e la Bellissima si fa Sconosciuta", volgendo il tema metafisico in una più amara esperienza esistenziale. Vicino agli anarchici mistici al tempo della rivolta del 1905, la rivoluzione bolscevica fu da lui salutata come la rinascita dell'anima russa, e gli dettò il più famoso dei suoi poemi, "I dodici". L'epica amara di questo poema, una delle massime espressioni della poesia del Novecento, chiude anche simbolicamente la parabola creativa del grande scrittore russo.