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La fragilità e la transitorietà dell'esistenza sono i temi che Gregorio Botta (Napoli, 1953) affronta nel lavoro presentato in queste pagine, il cui titolo trae spunto da un verso di Emily Dickinson. La sua arte, sintetica ed essenziale, attinge alla natura - utilizzando cera, acqua, alabastro, ferro, foglie, fuoco, pigmenti - e dà voce all'infinito, stimolando l'osservatore a una silenziosa contemplazione, a un'intima meditazione sulla ciclicità del tempo e sulla precarietà dell'essere umano. Contributi di Bruna Esposito, Massimo Mininni, Ludovico Pratesi e Andrea Viliani.