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Elisabetta Di Maggio (Milano, 1964) taglia con affilati bisturi differenti materiali, come carta, pellicola cinematografica, intonaco e porcellana, per creare pareti che diventano filtri del tempo e, al tempo stesso, visioni della forza e della fragilità in quanto archetipi del quotidiano. Grazie alla trasparenza della luce le sue costruzioni assumono sembianze anomale, in cui la chiusura degli interni dialoga con la loro potenzialità immaginativa. Il volume è pubblicato in occasione di una personale ospitata alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia.