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"L'odio di sé ebraico" è la formula estrema e provocatoria adottata da Theodor Lessing per richiamare l'attenzione sui pericoli che minacciano il mondo ebraico nella Germania dei primi anni Trenta, durante la crisi della Repubblica di Weimar. L'assimilazione che a partire dalla metà del Settecento ha liberato gli ebrei dalla reclusione nel ghetto e ha consentito loro di raggiungere posizioni di potere ha avuto come effetto principale - sostiene l'autore - la cancellazione dei fondamenti dell'identità ebraica, a vantaggio di una cultura del successo e dell'affermazione sociale che risponde agli interessi di quella civiltà occidentale pronta a travolgere l'ebraismo sotto nuove ondate antisemite. Invitare gli ebrei a negare il proprio contributo alla società tedesca ormai abbandonata alla sua deriva autoritaria, per ripiegarsi invece sui contenuti più profondi della propria identità, è un modo per smascherare le ipocrisie di un'integrazione puramente illusoria, che non soltanto mina il nucleo intimo dell'identità ebraica, ma induce ad abbassare l'attenzione nei confronti di quell'antisemitismo che aprirà le porte al nazismo.