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La Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico è un'opera giovanile di Marx apparsa solo postuma. In essa si riscontra un doppio registro di riflessione, così innovativo da sconvolgere i consueti paradigmi interpretativi predisposti dal marxismo canonico. Nel primo registro compare lo schizzo di una logica scientifica per l'analisi della politica (rapporto tra categorie e storia, concetti e istituti, astrazione ed empiria, contraddizione dialettica e opposizione reale). Nel secondo registro affiora una teoria della democrazia moderna inserita nel quadro generale di una prospettiva per la trasformazione della società atomistica borghese (nesso tra Stato e società civile, tra partecipazione e rappresentanza, tra astrazione giuridica ed eguaglianza sostanziale, tra potere costituente e potere costituito). Scoperta nella sua grande valenza analitica, e imposta nella riflessione filosofica internazionale da Galvano della Volpe, la Critica viene qui riproposta proprio nella classica traduzione avviata dal marxista imolese sin dal 1946. Un ampio saggio introduttivo mette a confronto le basi epistemologiche e i nodi gnoseologici dell'opera con gli sviluppi della logica delle scienze sociali contemporanee. Ne esce confermata la consistenza analitica di un metodo di indagine che coniuga logica e storia, genere e specie concettuale.