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La famosa distinzione di Hannah Arendt fra homo faber e animal laborans era stata anticipata addirittura da Adam Smith, che aveva descritto il passaggio dal lavoro artigiano alla nuova manifattura industriale come il passaggio da un cittadino pensante a un essere "ignorante e stupido", incapace di decidere dei destini della propria patria; una "bestia", un animale da fatica, secondo Tocqueville. Sembrava allora inevitabile la fine del lavoro artigiano. Così non è stato: l'artigianato in parte è scomparso, in parte si è trasformato, in parte rinasce continuamente in nuove forme. Questa storia è stata tuttavia a lungo trascurata: solo relativamente tardi si sono sviluppati gli studi per comprendere quanto del patrimonio storico delle culture, dei saperi, dei modi di essere del lavoro artigiano siano giunti fino a noi, o direttamente, o trapassando attraverso le culture del lavoro industriale. Il volume presenta nella prima parte lo stato degli studi sulla storia del lavoro artigiano, per poi ripercorrerne l'evoluzione nei principali paesi europei (Inghilterra, Germania e Francia) e negli Stati Uniti, dalla metà del XIX alla metà del XX secolo; infine, si focalizza sul caso italiano dall'unità al fascismo.