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Tradotte per la prima volta in italiano, queste lezioni - tenute durante il semestre estivo del 1949 presso la facoltà di medicina dell'Università di Vienna dal famoso psichiatra Viktor E. Frankl (1905-1997) - costituiscono una pietra miliare dell'antropologia medica. Esse intendono esplorare i fondamenti filosofici e le questioni "metacliniche" che ogni terapia, e in particolare la psicoterapia, presuppone: il rapporto mente-corpo, la natura spirituale dell'essere umano, il problema della finitudine dell'esistenza e, soprattutto, quello della libertà personale. Si tratta di temi di assoluto rilievo per la formazione del medico e dello psicoterapeuta, ma anche per tutti gli altri professionisti della cura, dal momento che la riumanizzazione della salute dipende dal riconoscimento dell'essenza dell'uomo sofferente e delle sue risorse. L'argomentazione di Frankl, corroborata da numerose ricerche empiriche e da un'articolata casistica clinica, dimostra che il malato non è mai riducibile alla malattia - neppure la più grave e invalidante - e che, a fronte dei limiti e dei condizionamenti dell'organismo psicofisico, esiste una persona spirituale capace di prendere posizione rispetto al proprio destino. Da questa peculiare "forza di resistenza dello spirito", nella quale è possibile riconoscere i prodromi ante litteram di quelle che oggi vengono chiamate "resilienza" e "crescita post-traumatica", dipende la possibilità stessa, per chi cura, di svolgere una funzione terapeutica e, per chi è curato, di affrontare la sofferenza senza smarrire dignità e speranza.