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Il titolo di questa raccolta di scritti pedagogici di Tagore allude a un racconto in cui viene messo alla berlina uno dei difetti principali del sistema educativo corrente: il principio di imitazione. La sua pratica va abbandonata, perché soffoca gli impulsi spontanei del fanciullo, imprigionandolo tra le pareti di un'aula scolastica, deprimendone la libera creatività, non permettendogli di raggiungere i reali obiettivi del processo educativo: l'indipendenza e la libertà. Per Tagore il maestro deve rimanere fanciullo nell'animo, credere nell'improvvisazione come strumento per produrre una personalità creativa ed equilibrata, rispettando i bisogni profondi degli allievi in un rapporto paritario basato sulla comunicazione e sull'amore anziché sul principio di autorità. La rilettura di questo classico del XX secolo risveglia, in chi legge, il desiderio di saggezza - una saggezza dell'Oriente che parla anche all'Occidente.