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Il 2019 è stato l'anno delle rivolte in piazza, esplose - a ritmo ravvicinato - in quindici Paesi di quattro Continenti. L'America Latina è stato quello con maggior "concentrazione" di rivolte. Non a caso, a fare da apripista all'anno di turbolenze è stato il Venezuela di Nicolás Maduro, anche se proprio quel governo è stato tra i più impermeabili all'urto. Perché questa specifica turbolenza latina? Lo racconta la giornalista di "Avvenire" Lucia Capuzzi, che in questi anni ha realizzato diversi reportage e interviste nella terra latina: dal terremoto di Haiti nel 2010, dove tutto è cominciato, alle rivoluzioni in Venezuela, Honduras e Nicaragua; dalla terra dei narcos tra Messico e Colombia, dove ramificazioni globali approfi ttano della debolezza locale delle istituzioni, al Brasile e all'Argentina, dove la protesta si è incanalata nelle urne anziché in piazza. Non manca uno sguardo su Cuba, che sta scontando l'impatto delle restrizioni di Trump sulla sua precaria economia. La sfida geopolitica del XXI secolo, quella della lotta alle diseguaglienze da cui nascono le rivolte, trova in America Latina la sua manifestazione più clamorosa, in un intreccio inestricabile tra interessi finanziari ed emergenza ambientale. Dalle rivolte di piazza potrà nascere una più giusta società civile? È questa la speranza.