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In tutti i Paesi europei la tv di servizio pubblico è oggi messa radicalmente in discussione. Anche in Italia il futuro della RAI è oggetto di un ampio dibattito in previsione del rinnovo della convenzione con lo Stato. Ma lo spirito del tempo non sembra particolarmente favorevole a un'istituzione che è stata l'invenzione più importante e influente che il Vecchio Continente abbia saputo creare nel settore della comunicazione di massa nel Novecento. In Italia, ancor più chiaramente che altrove, la tv di servizio pubblico non gode di buona fama: non ha saputo salvaguardare la propria autonomia non solo dalle pressioni economiche, ma anche, e soprattutto, da quelle politiche, diventando un prolungamento dei partiti in Parlamento, in modalità spesso deteriori. Non è riuscita ad affermare la propria specifica differenza dalla televisione commerciale, finendo per assomigliarvi fin troppo. Ha privilegiato rendite di posizione, perdendo progressivamente il contatto con parti crescenti della popolazione, quelle più giovani e dinamiche. Di qui, la domanda radicale: abbiamo ancora bisogno del servizio pubblico radiotelevisivo o si tratta, piuttosto, di un 'ferro vecchio' da destinare al pensionamento? Il volume mira a rispondere, almeno in due direzioni. Da un lato ricostruendo le radici profonde che sono alla base del progetto di servizio pubblico, dall'altro provando a immaginare il futuro del servizio pubblico attorno a dieci snodi cruciali. Cosa significa tv 'di qualità'? Che identità deve darsi nel nuovo ecosistema digitale? Che ruolo può ricoprire un'impresa televisiva pubblica in uno scenario di competizione sempre più globale? Che valore hanno la memoria e l'archivio? Che funzione può svolgere la tv nella promozione dell'industria culturale nazionale? Sono tutti ambiti sui quali il servizio pubblico può e deve avere un ruolo determinante: è però necessario ripensarne il progetto per il nuovo millennio.