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La diffusione delle tradizioni spirituali buddhiste nel mondo occidentale ha risvegliato negli ambienti psicoterapeutici un profondo interesse per le pratiche meditative orientali che sembrano condividere il loro stesso obiettivo: la liberazione dalla sofferenza psichica attraverso l'autoconsapevolezza. Ma adottare semplicemente la meditazione come un'ennesima tecnica terapeutica pone non pochi problemi, soprattutto quando ci si scontra con la nozione sconcertante della non esistenza dell'io, che costituisce proprio l'assunto centrale della filosofia buddhista. Per questo, nonostante la curiosità, buddhisti e psicoterapeuti hanno mantenuto per lo più una distanza guardinga. Mark Epstein, meditante e psicoterapeuta, si propone appunto di facilitare il dialogo tra le due discipline, chiarendo innanzitutto i gravi fraintendimenti che impediscono loro di collaborare in modo proficuo. Le sue considerazioni sfatano tante concezioni erronee sul buddhismo (che sia una fuga dal mondo alla ricerca di un annientamento nichilista nel nulla, oppure una regressione a uno stato narcisistico infantile), ma offrono anche interessanti paralleli con concetti psicoanalitici quali il falso sé di Winnicott e l'attenzione fluttuante, consigliata da Freud agli analisti, e molto simile alla presenza mentale dei buddhisti.