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Lo zen non ama essere associato alla filosofia nel senso ordinario della parola, giacché "filosofia" implica pensiero razionale e concettualizzazione. In questo senso, lo zen non solo è nonfilosofico; più positivamente, è antifilosofico. Il suo mondo è infatti il mondo del silenzio, il mondo dell'esperienza straordinaria che sfida il pensiero e la descrizione linguistica, il mondo in cui tutte le parole sono in definitiva ridotte al silenzio. Il "silenzio" dello zen è però un silenzio gravido di parole. Naturalmente lo zen si esprime - non può fare a meno di esprimersi - con il linguaggio. Quindi il silenzio zen si trasforma in linguaggio, si "articola" al di fuori di se stesso ed entra nella dimensione delle parole. Quello che importa realmente, e conta agli occhi dello zen, è il linguaggio considerato in questa luce, cioè quel tipo particolare di linguaggio che emerge direttamente dall'esperienza zen della realtà. Tuttavia un tale linguaggio può essere benissimo sottoposto a un'analisi intellettuale ed elaborato in una particolare forma, o forme, di filosofia; una filosofia, beninteso, che deve esprimersi dal cuore stesso della consapevolezza zen. Ed è in questo senso che si può dire che lo zen ha considerevoli potenzialità per la creazione di un pensiero filosofico.