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I medici sanno davvero di cosa stanno parlando quando ci dicono che i vaccini sono sicuri? Dovremmo prendere in parola gli esperti del clima quando ci mettono in guardia sui pericoli del riscaldamento globale? Perché dovremmo credere agli scienziati quando i nostri politici non lo fanno? A partire da queste domande Naomi Oreskes costruisce una solida e avvincente difesa della scienza, mostrando in che modo il carattere sociale della conoscenza scientifica sia la sua forza più grande e la ragione migliore per darle fiducia. Ripercorrendo la storia e la filosofia della scienza degli ultimi due secoli, Oreskes mette in dubbio l'esistenza di un unico, aureo metodo scientifico, ma non rinuncia per questo a difendere la scienza dai suoi detrattori. La superiore affidabilità delle tesi scientifiche deriva, nella sua visione, dal processo sociale che le produce. Questo processo non è perfetto - niente lo è mai quando sono coinvolti gli esseri umani - ma Oreskes ci offre delle lezioni fondamentali proprio a partire dai casi in cui gli scienziati si sono sbagliati. È nel racconto di questi illuminanti «errori» che l'autrice ci accompagna in un viaggio appassionante tra alcune delle tesi più bizzarre e discutibili della storia della scienza: da quella dell'energia limitata, secondo la quale le donne non potevano dedicarsi agli studi e all'istruzione superiore senza indebolire le proprie funzioni riproduttive; a quella dell'eugenetica, i cui programmi statunitensi di inizio Novecento ispirarono la Germania nazista, promuovendo politiche che vennero interpretate come il coerente risvolto sociale della teoria darwiniana dell'evoluzione. Eppure, anche nei momenti di maggior diffusione di queste teorie, esisteva una comunità scientifica che non offriva il proprio consenso, e metteva in evidenza gli aspetti ideologici e gli interessi nascosti che si celavano dietro a quei risultati. Il punto è che la nostra fiducia non deve andare agli scienziati - per quanto saggi o autorevoli possano essere - ma alla scienza in quanto processo sociale, proprio perché garantisce il suo consenso solo dopo avere sottoposto le proprie tesi a uno scrutinio rigoroso e plurale.