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«Il 21 febbraio 1944, su un lettuccio d'ospedale, lontano dai suoi, dagli amici, dalla patria, in terra straniera ove era stato deportato, moriva nell'angoscia della solitudine l'avvocato Gabriele Crescimbeni. Cittadino integerrimo, professionista colto, dialettico acuto ed umanista noto, più che alla prassi del foro, cui le circostanze lo avevano sospinto, egli era chiamato al disinteresse e alla purezza della dottrina. Di qui quella sua rigidezza ed assenza talvolta di utile perspicacia che rendevano inflessibile, ma inattaccabile, il suo costume professionale. Ebbe un senso pieno delle cose e quindi una spiritualità ricca ed una interiorità insonne. Non tutti conobbero questo vigilante aspetto della sua vita per quel pelo di ironia che era solo amarezza, e non sarcasmo, ed avvolgeva le sue espressioni. E nell'amarezza tragica egli è morto senza che, a confortarlo, una mano si posasse sulle sue mani irrigidite nel freddo dell'agonia, né che sulla fronte scendesse, ad illuminarla, il bacio dei figli suoi.» Prof. Dott. Pietro Pambuffetti ("La Nazione", 21 agosto 1944 - Foligno)