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Un mercante di tradizione repubblicana, Cristofano Rinieri, dopo la fine della Repubblica e dell'assassinio del primo duca di Firenze, Alessandro de' Medici, diventa un apprezzato 'tecnico fiscale' del 'nuovo' ducato mediceo, all'interno delle cui istituzioni ricoprirà cariche viepiù importanti; non è chiamato ad abiurare la sua antica fede politica: la 'deideologizza' in nome del servizio allo Stato. Un noto pittore, Francesco Salviati, tornato a Firenze dalla Roma farnesiana, nel 1539, in occasione delle nozze di Cosimo I de' Medici con Eleonora di Toledo, rifiuta di portare a compimento il 'quadro' «dove l'Imperatore mette la corona ducale in capo al duca Cosimo» e dove avrebbero dovuto figurare anche «l'arme del castellano [spagnolo] della fortezza [di Firenze]». Nell'ottobre 1543, grazie alle premure del Rinieri e d'altri, proprio Salviati riceve l'ambita committenza ducale degli affreschi della Sala dell'Udienza in Palazzo Vecchio. Gli affreschi di una parete proiettano quella deideologizzazione nelle allegoriche indicazioni di una acquisita 'indipendenza' fiorentina dagli Asburgo (appena occorsa col recupero, in mano medicea, delle fortezze di Firenze e Livorno, «ceppi della Toscana»); le allegorie sono desunte da suggestioni e moniti tratti dalla più repubblicana delle opere di Machiavelli: i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Un duca, Cosimo de' Medici, non più 'tiranno' dopo aver recuperato da Carlo V le chiavi di quei «ceppi della Toscana», diventa l'artefice della riconosciuta 'indipendenza' statuale (che va a contrapporsi alla strumentale 'libertà' invocata dall'oligarchia antimedicea in esilio per rivendicare una propria guida politica del ducato e continuare a godere dei privilegi di casta contro la rigorosa uniformazione del procedere legislativo dello Stato). E' un'indipendenza che potenzialmente acquisisce contorni non più solo municipali ma nazionali, secondo quanto già propugnato da Machiavelli: vanamente durante il pontificato di Leone X, pericolosamente e sfortunatamente durante la prima fase del pontificato di Clemente VII, infine concretamente, ora, grazie a un 'Principe'-redentore (non più un papa) comunque mediceo: Cosimo I. Sono anni di riforme dello Stato, di suturazione delle lacerazioni ideologiche occorse tra Repubblica e Principato; di 'consenso'. Tutte circostanze che profilano dunque la nuova immagine del duca: non 'tiranno' che ha soffocato la Repubblica, ma 'principe giusto' che proprio dalla piaga mai rimarginata delle ininterrotte 'dissensioni civili' che avevano connotato la precedente vita politica traeva legittimazione quale 'inveratore' della Repubblica. Confortata dall'opera di storici, letterati e artisti coevi, la nuova immagine del ducato mediceo di Cosimo non indica più 'fratture' ideologiche ma 'consequenziali' passaggi istituzionali. Almeno fino a che, terminate le 'guerre d'Italia', pulsioni classiche e colpi di coda oligarchici non tenteranno di dar nuovamente corpo (e armi) al fantasma di Bruto. La reazione medicea allora sarebbe stata spietata: non solo giudiziaria, anche terroristica. E fors'anche iconografica. Paolo Simoncelli si diletta di ricerche storiche. Per i nostri tipi ha pubblicato Antimedicei nelle "Vite" vasariane (2016); La Repubblica fiorentina in esilio. Una storia segreta, vol. I, La speranza della restaurazione della Repubblica (2018; di cui è prossima l'edizione del II volume, L'istituzione della Repubblica in esilio); Cagli, De Libero, "La Cometa". Censure e manomissioni dagli anni '30 (2020).