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Il viaggio in Grecia, nell'estate del 1895, risultò per Gabriele D'Annunzio, occasione feconda di scrittura. Se il tour, pur esperito in compagnia d'una lieta brigata in cerca di svago e divertimento sulle tracce - dotte - dell'antica civiltà, durante il suo concreto svolgimento, offrì disagi e fastidi al poeta, nella pagina esso fu capace di alimentare traiettorie d'arte mirabili, a specchio d'un colloquio con i classici profondo e sincero, che, reso alimento interiore (non solo memoria erudita), nutrì diverse prove letterarie, e soprattutto l'epos debordante di Maia. Ma il recupero dell'antico, tra fulgori e clamori, conosce presto - e cupa - la macina del Tempo, che ogni cosa illanguidisce e vanifica, e l'ombra lugubre della Malinconia, in grado di spegnere significati ed eroici baluginii già vivi e vitali, consegnando tutto al soffio implacabile del nulla.