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Mi pongo un interrogativo kantiano: come è possibile Roma?" sembra abbia detto una volta Franco Fortini arrivando nel caos di Termini. La stessa battuta si potrebbe ripetere per la nostra scuola. Questo romanzo racconta l'anno scolastico di tre trentenni che passano per tutte le stazioni della fantozziana via crucis cui vengono sottoposti i "laureati in precariato": convocazioni affollate dove il prossimo ti appare "sostanzialmente mostruoso", contratti collettivi temibili "come la Sibilla" (cioè per ciò che non dicono), scrutinii più grotteschi di quelli usciti dalla fantasia di Mastronardi, Piani Educativi Individualizzati che hanno più livelli di lettura della Divina Commedia. Siamo in un liceo che ereditando lo spirito della morettiana Marilyn Monroe è intitolato a DiCaprio, ma nei cui corridoi rimangono ancora le insegne crepuscolari di mezzo secolo fa: fotocopiatrici che si avviano con un colpo di tacco alla Fonzie, armadietti pieni di garze scadute nei primi anni novanta, lampadine fulminate. Tra i reperti si contano anche gli ultimi insegnanti sadici vecchio stampo, come il fascista che vuol propinare ai ragazzi con problemi di apprendimento un progetto sui bersaglieri, e tipi intramontabili come l'Orlando Borioso, il professore che si finge un poeta bohémien "ad baccaglium ficae". Gianna, Carla e Nicola oscillano tra il tentativo donchisciottesco di comunicare con gli alunni oltre le barriere di burocrazia e smartphone e la tentazione di imboscarsi mostrandosi occupatissimi, secondo l'esempio del collega che sfreccia di continuo per i corridoi con in mano "una piccola risma di fogli" su cui non c'è scritto niente. La sua descrizione ricorda quella dei "quartari" di Luciano Bianciardi, e forse non è un caso: l'ambientazione è toscana, e gli autori hanno un ottimo orecchio per i gerghi e i tic del lavoro culturale. Qui però la satira si scioglie in una comicità esuberante alla Tom Sharpe. Si può pensare che il suo oggetto sia stato irreversibilmente travolto dalla pandemia. Ma in realtà il dibattito pedagogico di quest'ultimo anno non ha fatto che estremizzare i caratteri metafisici del MIUR: dubitiamo che un romanzo sulla scuola italiana, soprattutto se parla così realisticamente di supplenti, possa diventare un romanzo storico.

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