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Poesia tra le più trasparenti e limpide che mi sia di questi tempi toccato di leggere e di ammirare, questa di Edith Dzieduszycka, i cui versi sembra che emergano da un magma confuso, indistinto; forse il magma dell'esistere stesso, forse il magma dell'esperienza sensibile, forse perfino il magma di un sogno, ma del sogno fatto a occhi aperti e sempre in presenza della ragione per non sprofondare definitivamente nel buio delle contraddizioni. In questi "Ingranaggi" giocano un ruolo attrattivo-repulsivo due parole-chiave: «suicidio/sudicio», un mix di ironia, spaesamento e auto flagellazione. In questa nuova raccolta, la Dzieduszycka edifica versi adescando dal suo vocabolario parole pescate dalla sua patria linguistica, una patria fatta soltanto di parole abitate, le stesse parole che abitano il suo linguaggio poetico. (Gino Rago)