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«La sala era talmente piccola che ogni nota entrava nella nostra testa senza preavviso, bastava distrarsi un secondo e tutto diveniva forte e rosso, assumendo i colori che dovevano essere nella sua testa. Il ragazzo aveva appena vent'anni, arrivava da Metz, e stava suonando il vecchio pianoforte della padrona del bar, era giovane, è vero, ma non aveva nulla da invidiare ai grandi musicisti jazz che avevano toccato quei tasti, adesso ingialliti. Indossava una camicia a quadri, di un verde militare, e pantaloni cachi, era, a vederlo così, nulla di più che un giovane di passaggio per il paese, aveva capelli già sudati e un po' di barba. Capelli lisci come quelli del tale seduto accanto a me, anche quel giorno, come tutti i giorni, da tre mesi. Le note deliziavano le pareti dell'Absinthe Bar e dopo due canzoni questa storia era già incominciata».