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Cosa lega due personaggi diversissimi come Ivan Leonidov e Gianugo Polesello, provenienti da contesti culturali e storici incommensurabili? Crediamo che sostanzialmente questi due maestri siano legati dall'operare secondo un unico principio: che architettura e città siano un'entità inscindibile, un'unica grande opera d'arte nella quale è indistinguibile il ruolo dei manufatti, da quello della geografia e del paesaggio, da quello delle infrastrutture che connotano le metropoli moderne, e la loro Grosstadtarchitektur. La città si costruisce attraverso quelle architetture che assumono un nuovo ruolo per scala, dimensione, linguaggio e per il valore teatrale che assumono nella forma generale della città. La costruzione dell'architettura e le sue tecniche hanno anche un valore civile, di messa in scena dei valori positivi di una società. A noi sembra tuttavia che in realtà il legame più profondo che unisce queste due personalità sia l'assoluta fiducia nel potere trasformativo dell'architettura. Una fiducia mai venuta meno: per Leonidov neanche negli anni bui dello Stalinismo, quando l'enfant prodige dell'architettura sovietica viene relegato in una posizione di assoluta subalternità; per Polesello quando rifiuta una professionalità compromessa per dedicarsi a progetti teorici svolti per lo più in ambito accademico. Una fiducia nel fatto che quei progetti, in quanto risposte meditate e in fondo definitive sulle questioni aperte a Mosca, Magnitogorsk, Napoli, Venezia o Danzica, diventeranno edifici e parti di città attraverso le mani di altri architetti.