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L'Italia, unico paese al mondo, non fu "fatta" da un condottiero ma da un poeta. Fu Dante, infatti, a dare dignità al terreno primario e comune di una nazione, la lingua. Fu lui a fondare la civiltà italiana sull'arte, sul pensiero, sull'eccellenza e il genio, oltre che sulla storia e la geografia. O, almeno, così ritennero generazioni di patrioti italiani dal Romanticismo in avanti. Dante è stata la grande "scoperta" del nazionalismo novecentesco. Il fascismo celebrò Dante Alighieri come precursore d'Italia e della risorta romanità. Durante il ventennio fascista non c'era discorso ufficiale, dal duce all'ultimo direttore didattico, che al punto di ricordare le glorie patrie di questa stirpe "di poeti, santi, eroi e navigatori" non includesse in primis il Poeta fiorentino. L'effigie di Dante veniva riportata su monete, francobolli, cartoline e spillette, spesso accompagnata da motti mussoliniani che rimarcavano il mito del "precursore" del fascismo. Attorno all'Alighieri si sviluppò un vero e proprio culto e divenne un simbolo sacro del regime: la sua figura ne pagò le conseguenze e per un un lungo periodo venne accostata al fascismo e perciò dimenticata. Questo volume, attraverso l'analisi e la rilettura da parte di storici, studiosi e collezionisti, dell'opera e del mito di Dante ha lo scopo di collocarle nella loro dimensione più consona e obiettiva: quella della storia.