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La legge 26 luglio 1975, n. 354, ribaltando i tradizionali rapporti tra il detenuto e l'Amministrazione penitenziaria rispetto al pregresso regolamento per gli istituti di prevenzione e pena, come è noto, ha introdotto un sistema penitenziario radicalmente nuovo. Le interpolazioni, che l'hanno investita negli anni successivi alla sua emanazione, ne hanno snaturato la fisionomia originaria, che poneva il detenuto quale protagonista attivo della procedura di esecuzione penitenziaria incentrata sulla risocializzazione del condannato. Di qui la necessità di una nuova riforma, idonea a restituire organicità e coerenza al sistema. In tale direzione si è posta la delega per la riforma penitenziaria contenuta nella legge 23 giugno 2017, n. 103. Tuttavia, l'innovativo progetto di riforma è naufragato e per molti versi non è stato recepito dai decreti attuativi. Il Governo, rinunciando ad esercitare la delega relativamente alle direttive che avrebbero consentito di introdurre le più significative innovazioni normative in materia, non ha così dato luogo a quella ampia riforma, che avrebbe contribuito ad allineare il sistema penitenziario, più compiutamente, al principio di rieducazione della pena enunciato nel comma 3 dell'art. 27 della Costituzione.