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Non si sa bene come (inutile perdersi nelle elucubrazioni). Vittorio Orsenigo si trova nella Capitale etiopica isieme ai corrispondenti inviati in terra etiope dai più importanti giornali (fra cui il grande Evelyn Waugh del Caro estinto), proprio nei giorni in cui l'Italia si prepara a invadere l'Abissinia del Negus per conquistarsi un Impero: caschi coloniali, moschetti, baionette, piccoli aerei contro il Leone di Giuda, Hailé Selassié e le zagaglie. Addis Abeba, i suoi invivibili Grand'Hotel dove cimici e pulci sono i soli a trovarsi veramente bene e soprattutto le notizie spesso infondate vendute, dal meraviglioso Halifa - spia, brillante intrattenitore e uomo di mondo - ai giornalisti della stampa internazionale assieme ai segreti dei due Ghebbì, il Vecchio e il Nuovo. L'incessante ticchettio del telegrafo, non potendo ancora raccontare la guerra, si accontenta di trasmettere pezzi di colore locale: in sostanza, tanto fumo poco gradito ai lettori dei giornali e niente arrosto. Vero o non vero che gli "uomini bianchi" getteranno dalle carlinghe delle loro macchine volanti sui Tucul non solo bombe ma anche gas asfissianti e che i soldati spareranno le dilanianti pallottole dum dum di cui scrivono inorriditi gli inglesi? Infine: la donna somala pronta a inquinare l'acquedotto della capitale con la polvere velenosa spedita da Roma, è pura invenzione o qualcosa di tremendamente reale?