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Ero sola nella stanza. Prigioniera. Li vidi entrare aprendo la porta che richiusero alle loro spalle. Dovevamo rimanere soli in tre. Mi fecero sedere sulla sedia dietro il tavolino che mi separava da loro, lei incitò lui a bassa voce, quasi per non farmi udire, per scaricare la responsabilità dell'azione sull'uomo che aveva a fianco, dandogli piccole gomitate alla sua spalla, una sorta di segnale, una specie di patto che avevano stabilito, invitandolo ad agire: «Dai!» Era evidente che si erano accordati prima tra loro, sul da farsi. Questi allora estrasse un coltello che puntò contro di me. Quella scena che si svolgeva davanti ai miei occhi, non la ritenni reale, pensavo che stessi vivendo un incubo e speravo di svegliarmi di soprassalto all'improvviso in preda al panico. Ma non mi svegliai. Quell'incubo era la realtà.