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Alla fine degli anni Settanta, le polveri della Seconda guerra mondiale si sono diradate, ma non gli interrogativi sulle sue pagine più terribili. La Germania si interroga su come sia stata condotta alla grande opera di sterminio, cosciente, scientifico. Si ricostruiscono i fatti, si cercano i protagonisti, si attribuiscono le responsabilità. Lo si fa con procedimenti rigorosi, che devono essere una risposta morale ancor prima che storica. Julia testimonia nel processo contro Helmine Reyes, la sorvegliante del lager di Ravensbrück che danzava macabra sui corpi dei prigionieri, nota nei racconti dei superstiti come la Cavalla di Majdanek. In migliaia sono morti sotto i suoi stivali di acciaio. Julia ha lavorato come infermiera a Ravensbrück. Lì, con Helmine è stata a lungo fianco a fianco. E lei Helmine la conosce, la comprende, la ammira, e di più. Insieme hanno servito il Reich, lo hanno fatto per la Nazione, per la Scienza, per la Storia. Niente ai loro occhi era più corretto, giusto, naturale. E accanto al processo nelle corti del diritto, ce n'è uno parallelo, più silenzioso e più estremo, che ha luogo nelle comunità degli uomini, dove vittime e carnefici si incontrano di nuovo. Una narrazione dallo stile composto, elegante, la cui preziosità descrive uno scontro fondamentale e spietato. Il giudizio sulle atrocità naziste viene dato da un altro punto di vista, tanto inaccettabile quanto lucido, che porta una vicenda storica personale ad allargarsi in ogni tempo e a scuotere alle radici la coscienza di ogni individuo.