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Il Coronavirus fa la sua prima comparsa a Wuhan nel dicembre del 2019 quando le autorità cinesi informano l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dell'esistenza di una serie di casi assimilabili alla polmonite, ma anomali, le cui cause sono sconosciute. Il trenta gennaio l'Oms dichiara il Coronavirus emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. La sera del nove marzo, con un nuovo decreto in vigore dal giorno successivo, il Presidente del Consiglio Conte dichiara l'Italia zona protetta. È l'epoca del #iorestoacasa: è consentito lasciare la propria abitazione solo per comprovate ragioni di necessità, come fare la spesa, esigenze lavorative, l'acquisto di farmaci o motivi di salute. Con oltre centosessantacinque Paesi nel mondo toccati dal Coronavirus, l'undici marzo l'Organizzazione mondiale della sanità dichiara la pandemia. Il ventisei aprile il Presidente del Consiglio firma il DPCM che dà avvio alla cosiddetta Fase 2, con la riapertura delle attività manifatturiere, dei cantieri e del commercio all'ingrosso. Mai, nella storia dell'umanità, una chiusura aveva investito contemporaneamente tante persone. Ognuno ha reagito in modo diverso: dallo sconforto all'ottimismo, da nobili istinti alle insensatezze. Nell'epistolario 2.0 tra Rachele De Prisco e Federico Gori, scritto in concomitanza della chiusura e del progressivo ritorno all'apertura, la cronaca accompagna riflessioni e aspettative che salgono e scendono, positivo e negativo e viceversa, rispecchiando la temperatura di una comunità grande e piccola. Lei più riflessiva e propositiva sebbene acutamente critica e a tratti ironica, lui più diretto, almeno in apparenza, dissacratore e un po' guascone. Entrambi specchio di un lockdown durante il quale è stato necessario fare i conti anche con la propria capacità di apprezzare la solitudine e le inevitabili conseguenze: ci si può nascondere dietro chiunque e qualunque impegno, mai davanti a uno specchio.

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