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In punta di piedi d'estate

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Gemma decide, dopo sei anni di assenza, di tornare a trascorrere le vacanze estive nella villa in campagna dell'amica Elena. La Grande guerra ha lasciato dietro di sé un paese dilaniato; la Spagnola, imprevedibile corollario, ha compiuto anch'essa un massacro. I Rossi hanno occupato le fabbriche, nei latifondi masse di affamati si sono impadroniti dei campi, lo spettro della Rivoluzione russa incombe mentre Agrari e Industriali armano bande di facinorosi ad arginare la spinta rivoluzionaria. Il re tace. Giolitti ha perso lo smalto. I sindacati soffiano sul fuoco. La grande villa, in questo contesto socio-politico, si configura come un microcosmo di individui ed emozioni, un tessuto vivente essa stessa coi suoi spazi interni ed esterni che accolgono i passi, i gesti, i pensieri, le risate, i canti, le riflessioni, le lacrime e i cicalecci dei suoi abitanti. Sprazzi di felicità si alternano alla malinconia e anche la perfidia riesce a insinuarsi tra le sue stanze; amori contrastati, amori rubati, amori vincenti, amori alla luce del sole ondeggiano nelle penombre ambrate degli ambienti domestici o nell'accecante riverbero della campagna bruciata dalla calura. E anche la Natura sembra talvolta intervenire ad accompagnare o commentare situazioni e stati d'animo. Due mesi estivi che paiono dilatarsi in una stagione senza fine. Il ritmo narrativo sembra adeguarsi con una sorta di rispetto e premura a personaggi, situazioni e stati d'animo, concedendosi pause riflessive e momenti lirici, senza trascurare l'immediatezza del dialogo e del confronto. E neppure, qua e là, una nota di umorismo. Il fondamentale immobilismo che sembrerebbe caratterizzare il mondo descritto viene pertanto smentito dalla virulenza di emozioni che muovono i personaggi, dai dialoghi fitti, talvolta un sovrapporsi di voci, dagli interrogativi che artigliano le coscienze.

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