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Sei nuovo da queste parti, hai lasciato il paese per frequentare l'università. Il dormitorio ricavato in questo casermone sarà la tua casa. E hai un nuovo coinquilino. È difficile da inquadrare. Ha pelle bianca e liscia di vampiro, ignote abitudini notturne; sembra poter fare a meno di parlare, forse di dormire e mangiare. Diventerà la tua ossessione. L'inquietudine scivola in "Bugiardo Occidente" già dal primo racconto, ma lo scarto tra realtà oggettiva e percepita si fa ancora più grottesco nel corso di una «tranquilla serata» a base di droghe e alcol scadente, sotto i portici di via Mascarella, dove ha inizio l'allucinazione di una quête cavalleresca. Oppure durante la prima autopsia di uno specializzando in Medicina, in cui, è presto evidente, l'oggetto d'indagine non è soltanto la causa di morte, ma anche la vita interiore del defunto. Ed è con la stessa attitudine a sorprendere, con scrittura volentieri ipertrofica, totalizzante, che un anno di studi a Lisbona può essere cronaca di un'autodistruzione, svelamento dell'ipocrisia della "generazione Erasmus", in realtà fatta di emotività fragili e in crisi morale, incapaci alla lotta, intrappolate dentro alla «striscia di Moebius del capitalismo».