Tab Article
L'avvio di questa nuova raccolta di Stefano Iucci non lascia dubbi sul percorso intrapreso dal poeta romano, sullo scavo nella profondità dei sentimenti e sul dolore della perdita. Già dalle prime poesie ci sono continui riferimenti al vuoto, all'abbandono, a ciò che poteva essere e non è: "La tua donna e lì, in alto, / sempre in alto, non la raggiungi, / non la preghi, non ti inginocchi a lei / se prima di perderla / non capisci chi sei". Allora l'amore, il suo significato, risiede nell'essere stesso di chi ama, non nell'oggetto dell'amore, non nella donna che sta sempre in alto. È un percorso opposto alla scalata quello che bisogna fare: bisogna scendere, invece, tutti i gradini, andare a fondo, impararsi prima di poter amare, di poter dire "questa è la mia donna". Eppure, malgrado la coscienza di ciò, malgrado la conoscenza di questo ineluttabile cammino, c'è un'amarezza (o forse un disincanto) nei versi di Iucci che fa intravedere l'altra parte della vicenda amorosa, quell'essere sempre soli anche quando si è in due, quel riflettere della pozzanghera che rimanda solo il tuo passo, quel riflesso nelle vetrine che mostra non più lo spazio che occupi ma il tempo. (Mauro Fabi)