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Siamo abituati a ricordare la seconda Guerra Mondiale per la follia delle ideologie politiche, per l'orrore delle deportazioni e dei campi di sterminio, per il dramma della bomba atomica in Giappone, per le innumerevoli vittime militari e civili... Ma accanto alla storia narrata dai libri e crudamente immortalata da fotografie e documentari, c'è la tragedia vissuta dalle persone comuni, dai nostri nonni, zii o padri, nei paesi più piccoli, nelle città di provincia, nelle campagne: una ferita collettiva e profonda, per molti mai rimarginata, che l'autore, poco più che bambino all'epoca dei fatti, tenta di riaprire e far cicatrizzare definitivamente, con una testimonianza sincera e un accorato appello alla pace. Nella sua Melara, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guerra è anzitutto per la sopravvivenza: le derrate scarseggiano, manca il combustibile per il riscaldamento e la benzina per le automobili, le comunicazioni sono interrotte, i ponti sul Po fatti saltare, le requisizioni da parte delle brigate fasciste sono all'ordine del giorno e frequenti sono le vendette contro i traditori, reali o presunti, di Mussolini. Fino alla ritirata dei tedeschi e ai bombardamenti...