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«La vita è breve indugio in uno stato di apparente quiete: la sosta che ci tocca il cuore, allorché la corrente, perché non vista, sembra che cessi dal suo moto fatale, e il nostro destino sembra mutare. Allora con timorosa speranza guardiamo le nostre persone e tutte le cose ancor trattenute nelle note forme che la volontà di Dio sostiene. Da questo tremo di congedo nasce il nostro amore ed ogni nostra breve felicità. Tutto sfugge da noi: anche i nostri morti. E tutto noi vorremmo trattenere. Deboli argini sono croci e memorie: illusione il volerci perpetuare nei nomi e nei segni, che si posano come foglie secche sulla pietra. E la vita, che sembrava ferma, è già lontana e mutata nell'atto che prende il nome di storia. La nostra esistenza è un incessante saluto alle cose che passano, con noi che passiamo. O care forme, non dileguate nella cenere. O note voci, non vi spegnete nel silenzio eterno. Giovinezza, rallenta il tuo corso: oscuro artefice, ferma il mutare della nostra carne che si consuma. Care consuetudini delle nostre giornate, restate ancora un poco! Così implora il nostro cuore temente.» (Nino Savarese)