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Nel panorama di questa nuova scrittura di lingua italiana Cheikh Tidiane Gaye costituisce una presenza significativa per l'originalità della sua voce e per l'urgenza della vocazione espressiva e più precisamente poetica. Egli rivela chiaramente i bisogni comunicativi della sua generazione e i desideri che caratterizzano l'intera migrazione; però, a differenza di altri suoi colleghi, non si pone come "scrittore migrante". Se evoca una "lingua che sigilla l'unione, lingua alla conquista della culla mediterranea", l'emigrazione è per lui un incidente come altri dell'esperienza esistenziale, e mai si sofferma a descrivere o evocare le asprezze e le fatiche di tale cammino, né le inaspettate crudezze che riserva la caduta nell'alterità, sorpresa amara di tutte le emigrazioni di oggi ma anche di ieri. Gaye intende affermarsi nella lingua e attraverso la parola, esprimendo un universalismo etico ed estetico di marca senghoriana (legato cioè alla visione del grande poeta senegalese della Negritudine Léopold Sédar Senghor) e allo stesso tempo, assorbendo nella sua parlata italiana e nel suo immaginario poetico il portato della cultura africana di nascita.