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"Sergio Penco ci fa strada nell'esplorazione di una torbida Trieste notturna, per poi farci assaporare il rinascere delle cose all'alba con l'avvento della luce; ci avverte di come siano tante le musiche modulate dalle piogge in ragione dell'ora e delle variazioni, tutti accordi che leniscono le pene dell'animo; ci sollecita a opporre il volto alle sferzate della bora, ritemprante e impertinente, per trovare a noi stessi un più saldo equilibrio. Evoca ricordi lontani, si incanta a guardare la volta celeste ingioiellata di stelle, ma non si rifugia mai nell'idillio. La sua coscienza non si sottrae al confronto con la durezza di un mondo mal assemblato del quale censisce le storture, tracciando con partecipe tensione espressiva i drammi dell'emarginazione e della fame, rappresentando la miseria morale della indifferenza e l'insulto delle ingiustizie sociali. Ma il grande tema di questi versi è intimo e personale e nello stesso tempo terribilmente comune a tutti gli uomini, anzi a tutti i viventi: quello della morte come via al nulla o come ultima avventura da correre sull'amato mare dietro il grande miraggio della libertà..."