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Anno 2159. Un figlio, con una lettera indirizzata ai propri defunti genitori, fa un resoconto della propria vita prima di abbandonare definitivamente, all'età di 129 anni, un mondo in cui ormai fa troppo fatica a vivere. In un mondo dove tutto è meccanizzato e dove la tecnologia ha imbrigliato tutte le emozioni umane, il suo pensiero corre dapprima all'adolescenza, agli anni in cui la madre lo esortava a staccarsi dai videogiochi per giocare a pallone in cortile con il ragazzino vicino di casa, per il quale non nutriva troppa simpatia, per poi rivolgersi teneramente alle due persone che hanno fatto di lui un marito e un padre, Federica e Giorgio. Sullo sfondo il richiamo alla politica e alla fiducia, con il concetto chiave del racconto: "ne ho dedotto di essere libero... sì, ma di non esserlo". Nella libertà (illusoria) che lo Stato ha concesso al protagonista di poter porre fine alla sua vita, egli si sente comunque in obbligo di farlo, scegliendo la strada del suicidio, poiché non gli si rivelano altre soluzioni. Il pensiero alla vicina morte non è altro che l'uscita di scena dal mondo nel quale ognuno è chiamato a essere, necessariamente, vero protagonista.