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Dalla fitta selva dello Zibaldone emergono fonti non ancora adeguatamente messe a fuoco per la comprensione di un pensiero, come quello di Leopardi, destinato a riservare continue sorprese per il lettore contemporaneo. Si tratta di relazioni di viaggio dei conquistadores, di studi etnografici, di storie d'America che oscillano tra spirito della Controriforma e istanze illuministiche. Negli anni della maturità Leopardi intrattiene con queste opere un colloquio intenso, che lo costringe a prendere le distanze dal mito rousseauviano del bon sauvage: conseguenza inevitabile sarà la dissoluzione di un'idea di natura a lungo coltivata concepita come buona madre e dispensatrice di affetti. L'immagine del Nuovo Mondo come terra incontaminata dalla raison, così diffusa tra i seguaci di Rousseau fin du siècle, tramonta sotto l'evidenza di questi resoconti di viaggio, contribuendo in maniera decisiva a spingere Leopardi verso una nozione dell'essere pensato come "male nell'ordine". Il poeta-filosofo, che rivela qui più che mai il piglio dell'antropologo e del filosofo politico, si ritrova così dinanzi a un Nuovo Mondo del tutto smitizzato.