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Fu una svolta epocale o una semplice battuta d'arresto nell'espansione dei turchi? Sulla battaglia di Lepanto gli storici discutono ancora, ma una cosa è certa: la gestione della sua immagine fu per Venezia un evento di grande rilievo. Feste di folla, processioni civili e religiose, opere d'arte e testi letterari celebrarono la gloriosa vittoria. Alla costruzione di un mito collettivo concorsero da subito il sontuoso pennello di Veronese e il bulino dell'incisore popolare, i versi levigati di Celio Magno e le satire in dialetto, gli edifici pubblici e le cappelle private. Su tutto, lo sguardo vigile del Palazzo, pronto a glorificare i martiri della Serenissima ma attento anche a sorvegliare il messaggio politico e a prevenire il culto della personalità per gli eroi vittoriosi; disposto a esaltare la Lega stretta dal Leone di San Marco con il papa e il re di Spagna, ma anche con sapiente regia a giustificare la pace stipulata poi con il Sultano, bollata dagli alleati come tradimento. Una giravolta anche iconologica, per cui Venezia guerriera divenne la Donna giusta, forte ma pacifica, mentre alla demonizzazione del nemico subentrò perfino la pietas per il vinto. E non mancarono conseguenze in ciclo, visto che il merito della vittoria passò dalla cattolico-romana Madonna del Rosario alla venera santa Giustina. A partire dai documenti, questo libro esplora la vicenda del mito lepantino nella civiltà veneziana del Cinquecento, e guida in un percorso tra opere minori e grandi capolavori.