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Gabriel è un uomo ricco, un architetto famoso: una archistar. Il suo vagare per l'Europa sembra improvvisato, casuale, addirittura involontario; o forse è guidato da un destino, da un'antica sapienza, da una volontà divina - o da un amore perduto. Il mondo nel quale vaga, il Vecchio Mondo, è irrimediabilmente vecchio, stantio, prossimo alla Fine. Gabriel è uno dei pochi che vedono, intravedono, sanno la prossimità della Fine: e così lui cerca, dentro al tempo che sfugge, in città e paesaggi che già svaniscono, di salvare qualcuno. Fanciulle ignare, artisti maledetti, grandi boia di stato: senza sapere bene perché, l'uomo - che a volte appare potentissimo e altre volte fragilissimo salva, salva, salva. Soprattutto chi non vuol essere salvato. E noi, col cuore in gola, seguendo le avventure di quest'uomo, impariamo a domandarci cosa sia il mondo che stiamo attraversando: un mucchio di cose reali e opache, oppure una fantasia nella mente di un dio che ormai pensa ad altro, il trucco di un prestigiatore, l'illusione prodotta da una matrice o da un tumore che cresce nel cranio di un uomo innamorato della vita. Come sempre nei romanzi di Tullio Avoledo, anche in "Chiedi alla luce" tutti i mondi inventati sono terribilmente reali.