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È la prima storia delle teorie della recitazione, dall'antichità greca attraverso la trattatistica romana, le condanne della chiesa in epoca medievale, la sperimentazione teatrale dell'età umanistica, lo studio dell'arte dell'attore e le regole tecniche stabilite nel tardo Cinquecento, l'intreccio con la dottrina dell'oratoria e le riflessioni degli esperti seicenteschi di fronte alle grandi interpretazioni dei personaggi di Shakespeare e di Molière, di Corneille e di Racine, fino alla nuova visione che si apre nel Settecento, quando nel dibattito, che si estende dall'Italia alla Francia, l'Inghilterra, la Germania, la recitazione è riconosciuta come arte autonoma, regolata dai principi propri e particolari, e si stabiliscono le nozioni che fondano la moderna concezione dell'attore. Il racconto della lunga avventura della cultura occidentale di fronte alla misteriosa esperienza della recitazione: la difficoltà di comprendere, tra fascinazione e magia, diffidenza e sospetto, quello che fa un'interprete vivo sulla scena, proiettato in una figura diversa da lui, le tecniche che deve impiegare, gli effetti che può produrre e i criteri necessari per riconoscere il valore, le conseguenze, i pericoli della sua attività.